Mamma, guarda come sborro! Cap.1
Mamma, guarda come sborro! Cap.1
Dopo una serata in birreria con gli amici era inevitabile che quella notte mi dovessi alzare dal letto per andare a pisciare.
A piedi scalzi e senza accendere le luci per non svegliare mamma, passai davanti a camera sua per recarmi in bagno.
La sua porta era socchiusa e, al leggero chiarore che filtrava dalle sue persiane socchiuse, la vidi che dormiva placidamente nel suo lettone.
Un paio d’ore più tardi, maledicendo tutta la birra che mi ero tracannato, dovetti andare di nuovo al cesso.
Come imboccai il lungo e buio corridoio fui colpito da uno strano rumore: un forte ronzio, come se qualcuno si stesse lavando i denti con il mio spazzolino elettrico.
Stupito, feci qualche passo verso il bagno e, a mano a mano che mi avvicinavo alla camera di mamma, mi accorsi che il rumore andava aumentando.
Non riuscivo proprio a capire da dove stesse provenendo quel rumore, sicché, incuriosito, sbirciai furtivamente attraverso lo spiraglio della sua porta socchiusa, e ciò che vidi mi lasciò letteralmente basito.
Sdraiata sul suo lettone, con le gambe spalancate e la camicia da notte sollevata sulla pancia, mamma si stava sbattendo la passera con un grosso vibratore, un oggetto che zio Mario, suo fratello, le aveva regalato per curarsi l’artrosi cervicale.
Altro che artrosi cervicale! Con quell’aggeggio tra le gambe, mamma si stava massaggiando il clitoride e, a giudicare da come si dimenava e dal suo respiro affannoso, con grande piacere.
Tutto subito mi ritrassi, un po’ per la paura che mi vedesse, un po’ per l’imbarazzo di avere beccato mia madre in un momento così intimo.
Un secondo dopo, però, non resistetti alla tentazione di tornare a sbirciare: la vista del suo figone spalancato era troppo eccitante per perdermi l’occasione.
Così, silenziosamente, mi piazzai in una posizione favorevole per godermi lo spettacolo, e mi abbassai i calzoni del pigiama con l’intenzione di spararmi una bella sega; ma lo spettacolo era troppo arrapante e, prima ancora che riuscissi a prendermi in mano la mazza dura, scaricai sul pavimento una potentissima e lunghissima sborrata.
Le notti seguenti stetti sveglio a lungo con la speranza di udire ancora quel ronzio ma ci volle più di una settimana prima che la mia attesa venisse premiata.
Erano circa le due del mattino e, ormai rassegnato, stavo per prendere sonno quando finalmente potei udire che mamma aveva messo in funzione il vibratore.
Immediatamente l’uccello mi si fece duro e, sfilati i calzoni del pigiama per stare più comodo, mi avvicinai furtivamente alla sua stanza col cazzo ritto.
Fortunatamente a lei non piaceva dormire con la porta chiusa, così, cercando di non farmi notare, mi piazzai in una posizione tale da godermi lo spettacolo.
Mamma si era tolta la camicia da notte e, completamente nuda, si stava passando il vibratore sui capezzoli mentre con la destra si montava a neve la topa.
Lo spettacolo era davvero eccitante e cominciai a lisciarmi lentamente la fava. Stavolta non volevo godere subito; intendevo spararmi una bella sega, lunga e goduriosa.
Nel frattempo mamma aveva invertito le posizioni, e ora si massaggiava i capezzoli con le dita bagnate di succo di figa mentre il vibratore ruotava veloce tra le sue cosce spalancate.
Il suo figone nero era completamente dilatato e, nonostante ci fosse solo un tenuo chiarore, potevo perfettamente vedere il suo grosso clitoride, irrigidito dallo sfregamento da parte della testa di gomma del vibratore.
A giudicare dai suoi contorcimenti, dall’espressione porca del suo volto e dai mugolii che riusciva a stento a trattenere doveva stare godendo come una maiala. Mai più avrei pensato che mia madre potesse essere così troia.
Col passare dei secondi la vidi aumentare la velocità del vibratore mentre il suo corpo andava irrigidendosi ed il suo volto andava assumendo un’espressione sempre più porca.
Capii che stava per venire e mi apprestai anch’io a terminare la sega. Ero talmente arrapato che non sapevo neppure io come fossi riuscito a trattenere la sborra per così tanto tempo. Mi sentivo i coglioni gonfi e pregustavo una lunga goduta.
Erano ormai diversi giorni che non mi svuotavo in attesa di quel momento e sapevo che avrei fatto un casino sporcando dappertutto, ma me ne fregavo. L’occasione era troppo ghiotta per non approfittarne. A ripulire il pavimento ci avrei pensato dopo.
Oramai era questione di secondi: mamma stava per godere, ed io con lei.
Ma, nella foga degli ultimi colpi, mi protesi un po’ troppo verso la stanza per godermi il meglio possibile lo spettacolo e, inavvertitamente, urtai la porta col gomito.
Porca troia! Con un urlo mamma si mise seduta e accese la lampada da notte.
Chi c’è? – domandò.
Cazzo, mi aveva beccato.
Sono io, mamma.
Marcello?
Si, mamma.
Cosa fai, lì, a quest’ora di notte?
Cosa potevo rispondere? Senza i calzoni del pigiama e col cazzo duro in mano.
Ti stavo spiando.
Ma….Cosa ti salta in mente?
Nel frattempo lei era sempre nuda e, nella destra, reggeva il vibratore, che però era riuscita a spegnere.
Non posso più avere un po’ di intimità neppure di notte, nella mia camera da letto?
Era proprio incazzata.
Sono una donna sola, lo sai. Da quando è morto tuo padre non ho più avuto un uomo, e in qualche maniera devo pure soddisfarmi.
E tu – continuò – non ti vergogni a spiare tua madre? Hai più di vent’anni ormai. Questa cose lasciale fare ai ragazzini.
Mi dispiace mamma, davvero. Ma tu eri così arrapante che non ho resistito alla tentazione di spiarti e tirarmi una sega.
Sei un bel porco. Guardati, senza calzoni e con l’uccello dritto davanti a tua madre.
E’ la prima volta o l’hai già fatto altre volte?
L’ho fatto una volta sola, l’altra settimana.
Adesso capisco. Mi era sembrato di vedere un’ombra, ma poi ho pensato che fosse frutto della mia immaginazione.
No, mamma, ero io.
E ti sei tirato una sega?
Si.
Capivo che l’incazzatura le stava passando e mi stupì il fatto che non si coprisse.
Io, dal canto mio, nonostante la lavata di capo tenevo sempre la mazza dura e una voglia dolorosa di svuotarmi i coglioni.
Mi hai interrotto sul più bello, sai – disse poi col sorriso sulle labbra.
Mi dispiace – ribattei – ma pure io ero sul più bello.
A quel punto scoppiò a ridere e, lasciandomi basito, mi invitò ad entrare nella sua stanza.
A questo punto – disse – tanto vale che concludiamo. Dai, vieni qua, avvicinati. Visto che ti piace tanto guardarmi, questa volta ti consento di farlo da vicino. E poi ho troppa voglia per rimanere così; se non finisco non riesco certo a prendere sonno. Anche tu avrei voglia di finire, guarda in che stato sei, con quel coso ritto come un cero e duro da scoppiare.
Così, al di là di ogni mia più rosea aspettativa, mi fece accomodare sul suo lettone.
Mi raccomando – mi ingiunse – guardare ma non toccare. Guarda tutto quello che vuoi, ma tieni le mani a posto.
Mamma?
Dimmi caro.
Mi posso segare?
Se vuoi.
Qui, davanti a te?
Se ti fa piacere.
Se mi fa piacere? Sono anni che sogno di segarmi davanti a te, di farmi guardare da te mentre sborro.
Sei un bel porco, ma fai pure. Vuoi che spenga la luce?
No, lasciala accesa.
A dire il vero tutti quei discorsi me lo avevano fatto un po’ ammosciare, ma non appena lei rimise in moto il suo aggeggio e se lo ficcò tra le gambe il mio cazzo si rifece duro come il marmo.
Sistemato sul suo lettone mi piazzai proprio di fronte a lei, in modo da poterla osservare da vicino. Non avendo più la necessità di trattenersi, mamma diede libero sfogo alla sua natura maiala e la udii gemere mentre il vibratore compiva il proprio dovere sul suo clitoride eretto, che adesso potevo finalmente vedere da vicino.
Le labbra della sua figa, rosse e gonfie, erano aperte e vedevo che andava bagnandosi sempre di più mentre nell’aria si spandeva l’odore della sua femminilità.
Dio, come godo – fece ad un tratto – mi piace farmi guardare mentre mi sbatto la passera. Mi piace pensare a te che mi spii nel buio della notte con l’uccello duro in mano. Mi piace pensare a te che sborri mentre io godo come una maiala.
Stava davvero godendo, il suo viso era stravolto dal godimento e aveva assunto un’aria da porca che mi arrapava quasi più della vista del suo figone nero, dilatato e fradicio di umori.
Segati – mi disse – segati davanti a mamma. Fammi vedere come ti meni il cazzo, fammi vedere una bella sborrata. E’ da troppo tempo che non vedo un cazzo sborrare, che non sento l’odore di un maschio arrapato, l’afrore virile del suo seme.
Stava per venire, mi avvertì.
Mamma sta per venire, sta godendo come una maiala. Questo arnese è fantastico, mi fa fare delle godute pazzesche. Certe notti me la devo sbattere tre o quattro volte prima di calmarmi. Mamma avrebbe tanta voglia di cazzo, sai.
Ormai era partita e, nell’imminenza della goduta, parlava a ruota libera. Certe volte, mentre me la sbatto con questo affare sogno di avere tre o quattro uomini a mia disposizione, tre o quattro bei ragazzi come te che me lo mettono da tutte le parti, che mi leccano tutta, che mi fanno godere con le loro dita, con le loro lingue e con le loro mazze dure e dritte. E mi piacerebbe leccarli tutti a mia volta, e farli godere, aspirare il loro odore, gustare il loro sapore, carezzare i loro giovani corpi, lisci e muscolosi, leccare la loro pelle calda. Sentire le loro mazze dure penetrare in profondità nel mio ventre, nei miei sfinteri. Mi piacerebbe scappellarli e ciucciare le teste dei loro cazzi, sentire il sapore della loro sborra. Farne sedere sul mio viso e leccargli il buco del culo mentre uno mi lecca la figa, uno mi lecca le poppe e un altro mi lecca i piedi. Li vorrei tutti addosso e poi vorrei che mi ricoprissero tutta di sborra, dalla testa ai piedi.
E con queste ultime parole venne. Venne quasi urlando e contorcendosi; venne manovrando il vibratore fin quasi a farsi male; venne a lungo, molto a lungo. Non sapevo che una donna potesse venire così a lungo e così intensamente.
Io, dal canto mio, ero fortunatamente riuscito a trattenermi; volevo assistere fino alla fine alla sua goduta senza venire e mi ero imposto di non lisciarmi la mazza che era però talmente dura da farmi male; per non parlare dei coglioni, che imploravano di essere svuotati.
Dopo quella colossale goduta pensai che mamma si sarebbe calmata, ma evidentemente quella notte doveva avere le fregole perché, spento il vibratore, prese a carezzarsi la passera con le dita. Dopo qualche secondo avvicinò le dita alla bocca e se le leccò.
Mi piace il sapore della figa – disse – quasi quanto quello del cazzo. Senti, senti che buon sapore. Si rimise due dita nella figa e me le diede da leccare.
Ti piace? – mi domandò.
Poi, senza neppure attendere la mia risposta, si infilò nuovamente tre o quattro volte le dita nella figa, dandole da leccare un po’ a se stessa e un po’ a me.
Mi sa che me la devo sbattere un’altra volta – disse poi – stanotte sono infoiata come una cagna in calore. Ci fosse qui Anna, la mia amica, le sfilerei le mutandine e affonderei la faccia tra le sue cosce. Ha un sapore così buono Anna. E poi mi lecca così bene!
Tu e Anna vi leccate? Domandai.
Eccome. Lei è molto più giovane di me, ma io le piaccio lo stesso. E lei a me mi fa impazzire. Certi pomeriggi passo ore a leccarmela dalla testa ai piedi. Sentissi che pelle morbida e profumata che ha. E che fighetta! Gliela mangerei. Per non parlare del suo culo. Ha due chiappette sode e un buchetto rosato e dolce che sembra fatto apposta per essere leccato.
Raccontarmi quelle cose doveva eccitarla parecchio perché aveva preso a menarsela con foga e, a quel punto, io non ero più in grado di trattenermi.
Glielo dissi.
Mamma, io sto per godere.
Godi, piccolo, godi. Godi davanti a mamma con quel tuo bel cazzone. Fai vedere a mamma come te lo meni. Falle vedere una bella sborrata, mamma ne ha proprio voglia.
Ero sceso dal letto e, in piedi davanti a lei, me stavo menando furiosamente.
Che bella testa ha il tuo cazzo. Grossa e rossa, e coi bordi belli spessi e rialzati, proprio come piacciono a me.
Avvicinati di più – mi fece; e, sbottonatami la giacca del pigiama, prese a titillarmi i capezzoli.
A tuo padre piaceva tanto che gli titillassi i capezzoli quando stava per godere.
Ero talmente arrapato che non riuscivo a sborrare.
Raccontami ancora di te e di Anna – le dissi.
Io la conoscevo sin da bambino Anna. In effetti era una gran bella figa e mi ero sparato centinaio di seghe pensando a lei, al suo grosso seno e al suo magnifico culo.
Cosa vuoi, suo marito è sempre via per lavoro, così lei si arrangia con me. Non è che siamo lesbiche, però ci piace tanto darci reciprocamente piacere.
Vi baciate?
Certo. Nessun uomo sa baciarti come ti bacia una donna. Ha una bocca stupenda, una linguetta infuocata e sa sempre di buono.
Il pensiero di mamma e Anna che si baciavano, che si leccavano le labbra e la lingua, del viso di mamma tra le cosce dell’amica, della sua lingua infilata nel buco del culo dell’altra mi diedero il colpo di grazia e, finalmente, sentii che stavo per godere.
Ci sono, mamma, ci sono. Continua a raccontare e a titillarmi i capezzoli che io sto per venire.
Sentii come un’ondata di piena risalirmi dai lombi e alfine, ragliando come un asino in calore, mi svuotai.
Si, mamma, si – ragliai – sto sborrando, sto sborrando. Guardami, mamma, guardami, sto sborrando.
Aahhh, ahhh, guarda mamma, guarda, guarda come sborro.
Stavo sborrando, finalmente. Col cazzo puntato contro di lei lanciavo lunghissimi e potentissimi schizzi di crema spessa e calda. Stavo sborrando come un cavallo, non avevo mai sborrato tanto in vita mia, e con tanta potenza e violenza. Pareva che stessi pisciando, e invece erano bordate di sborra calda che andavano a colpire mamma in pieno viso, sul seno, sulla pancia, sui capelli.
Sborra, piccolo, sborra – mi incitava lei – sborra addosso a mamma; sporcala tutta, falle una bella doccia di sborra calda.
Mioddio come butta il mio bambino, come butta! Non ho mai visto una sborrata così! Ancora, ancora, sborra ancora, innaffiami tutta – continuava ad incitarmi mentre gli ultimi schizzi, meno spessi, meno lunghi e meno potenti dei precedenti le si spiaccicavano sul viso, sul naso, sulle labbra, sulle guance.